La corona della regina Costanza di Aragona
Costanza d’Aragona, prima moglie di Federico II, dopo appena tredici anni di regno, muore il 23 Giugno del 1222, a Catania, dove le vengono tributate le prime esequie alla presenza del vescovo (cfr. R. Pirri, Sicilia Sacra…, ed. cons. 1773, I, p. 534); successivamente il corpo viene trasportato a Palermo, in Cattedrale, dove viene sepolta in un sarcofago antico. Fu trovato "un….corpu mortu…… in testa di lo quali corpu chi fu truvata una coppula tutta guarnuta di petri priciusi, perni grossi et minuti, et piagi di oru massizzu …" (cfr. F. Daniele, I Regali Sepolcri…, 1784, p. 84 - 85). Siamo nel 1491, ha inizio proprio dal sarcofago marmoreo della regina Costanza, l’indagine ufficiale sulle tombe reali della Cattedrale di Palermo. L’atto senatorio del 18 ottobre 1491, trascritto nella letteratura erudita settecentesca edita (cfr. ibidem) e manoscritta (cfr. A. Inveges, ms. sec. XVIII, BCP Qq H 137, ff. 42v-43), e l’inedito compendio da esso tratto nel 1549 da Cesare Imperatore (cfr. Repertorium actorium omnium, 1549, Archivio comunale di Palermo, vol.1540/2 A 16, f.n.n., rep. n. 1232), pur presentando fra loro discrasie, forniscono un’accurata descrizione di tutto l’arredo rinvenuto in quell’occasione. Sia l’atto senatorio che il compendio danno un’analoga descrizione della corona, mentre notevolmente diversa è la definizione della sua funzione. Infatti, mentre nell’atto senatorio, viene descritta come una cuffia (vd. sopra "coppula tutta guarnuta…"), il compendio la identifica come una corona ("Constantia Imperatrix…inventa cum corona reali ornata multis lapidibus pretiosis et pernis magnis et parvis et auro masiczo"). Il prezioso corredo viene trasferito, dopo il rinvenimento, nel tesoro dello stesso Duomo. ("li quali jouyi foru livati, e purtati in lu thesauru di la majuri Panurmitana ecclesia…"). Successivamente, però, forse per il malcontento che la ricognizione delle tombe aveva suscitato, di cui parla il Fazello (cfr. T. Fazello, De rebus siculis…, 1558) e altri scrittori successivi, venne richiuso nuovamente nel sarcofago ("et exinde supradicta jocalia inventa in sepulcro reginae Costantiae fuerunt reducta ad ipsum sepulcrum et ibi causa ut primitus erant"). Dopo quasi tre secoli dalla prima, nel 1781, in occasione della ristrutturazione della Cattedrale, si da inizio alla seconda ricognizione delle tombe reali; sono presenti moltissimi studiosi e uomini colti che ci forniranno preziosissime descrizioni , sia manoscritte che a stampa. La descrizione analitica dell’operazione viene affidata a Rosario Gregorio. Sarà la descrizione del regio storiografo Francesco Daniele e l’incisione che la correda, la cui realizzazione avvenne a Palermo, dove i reperti rimasero a lungo visibili (cfr. R. Gregorio, ms. sec. XVIII, BCP, Qq F 63), a svolgere un ruolo determinante nello studio della corona. Dopo tale ricognizione l’intero corredo trovato verrà definitivamente posto nella camera del tesoro della Cattedrale, e registrato nell’inventario del 1848. Il Daniele, il Gregorio e il Palermo (cfr. G. Palermo, Guida istruttiva per…, 1816, p. 80) concordano nella descrizione della corona, e nel rinvenire in essa numerose tracce di "restauro"; pensando che siano stati smontatati alcuni pezzi applicati e poi, in modo confuso, risistemati con integrazioni del supporto tessile. Il Deèr, invece, nel 1952, (cfr. J. Deér, Der Kaiseronat Friedrichs…, 1952, p. 92) così asserirà rispetto alle differenze fra lo stato attuale della corona e le descrizioni del Daniele: "nur eine willkurliche und irrtumliche Rekonstruktion" ("soltanto una ricostruzione arbitraria ed errata"), affermando perentoriamente: "Ohne jede Anderung auf uns gekommen ist"("E’ giunta a noi senza alcun cambiamento"). Suo seguace sarà l’Heuser che nel 1974 (cfr. H. J. Heuser, Oberrheinische Goldschmiedekunst im…, 1974, pp. 17-22), così scrive: "hier nur noch eines gesagt werden muss: die Krone ist unberuhrt auf uns gekommen ,so wie sie der Kaiser bei der Grablegung 1222 dem Sarkophag anvertraute" ("soltanto una cosa qui va detta: la corona è giunta a noi intatta, così come l’imperatore l’affidò al sarcofago in occasione della sepoltura nel 1222"). Claudia Guastella, in un documento recentemente pubblicato (cfr. C. Guastella, Per l’edizione critica…in La Cattedrale…, 1993, pp. 265-286), registra una drastica operazione di restauro che ha dato alla corona la configurazione attuale, verificatasi probabilmente nel 1848. Restauro documentato pochi anni dopo dall’illustrazione del testo di F. Bock (cfr. F. Bock, Die kleinodien des…, 1864, tav. XLVI); da allora, non è stata più modificata, se non nel rivestimento interno, rinnovato durante il suo deposito presso il Vaticano durante il periodo bellico (cfr. C. Guastella, Per l’edizione critica…, in La Cattedrale di…, Palermo, 1993, pp. 265-286). Numerose e discordanti sono le ipotesi sull’originario possesso di questa corona, se fosse di Costanza d’Altavilla, madre di Federico II di Svevia o di Costanza d’Aragona, prima moglie dell’imperatore. Di varia natura sono, quindi, le interpretazioni storico - politiche che si sono susseguite nel corso di questi secoli. Una delle più interessanti appartiene al Lipinsky (cfr. A. Lipinsky, Sicaniae Regni Corona…, 1975, pp. 347-370) che parla di una "presunta" rimozione da parte di Federico della corona maschile del regno normanno, il cosiddetto "Kamelaukion" di tipo bizantino: "(...) portato da Ruggero, all’incirca dal 1132 in avanti e giunta fino a Federico II" (cfr. ibidem) Era un gesto simbolico che avrebbe segnato così la fine del regno normanno. Il Deèr (cfr. J. Deér , Der Kaiseronat Friedrichs…, 1952, p. 93) e l’Heuser (cfr. H. J. Heuser, Oberrheinische Goldschmiedekunst im..., 1974, p. 17-22) pensano, invece, che sia addirittura il diadema della incoronazione imperiale di Federico II. Il La Grua, infine, fornendo un’accurata descrizione materiale della corona e degli elementi decorativi, dissente dalla suggestiva ipotesi del Lipinsky ed insiste sulla cuffia o corona di tipo femminile (cfr. G. La Grua, La corona della …, in "O Theologos" n. 6, 1975, p. 73-81). La preziosità della corona, inoltre, ha spesso indotto a pensare che non fosse destinata ad una sepoltura; Nonostante la ricchezza sia eccezionale rispetto agli usi funerari d’oltralpe, attiene comunque, a quelli del regno normanno, ampiamente ripresi dallo stesso Federico II (cfr. C. Guastella, Per l’edizione critica…, Palermo, 1993, pp. 265-286). Proprio l’affinità stilistica e formale delle gioie, mostra come la corona e l’abito facciano parte di un apparato coordinato, appartenente alla regina ed eseguito dall’atelièr reale nell’ambito della tradizione orafa siciliana. Non sappiamo se le insegne imperiali femminili e i gioielli della regina furono realizzati con l’intervento degli orafi tedeschi di Federico II, come Diterico di Boppard o utilizzando elementi del tesoro regio prodotto nei laboratori siciliani (cfr. ibidem). Gli studiosi sono, comunque, concordi nell’affermare che l’opera sia stata realizzata a Palermo. Secondo l’Accascina l’opera presenta modelli in uso nell’Oriente cristiano, testimoniati nei mosaici e nelle miniature del XII sec.; ad esempio il motivo del giglio che si può vedere a mosaico sulle pareti della Basilica di Monreale e altrove. Appaiono quindi tutte le tecniche in uso nelle opere "stile Palazzo reale di Palermo" (cfr. M. Accascina, La corona in…, in Oreficeria di Sicilia…, 1974, pp. 78-79). La sua realizzazione sarebbe, secondo la studiosa, da collocare nel periodo che va dal 1170 al 1180. Inoltre alcuni studiosi tedeschi, analizzando l’onice di Sciaffusa, capolavoro della produzione orafa di ambito federiciano, hanno rilevato analogie con la corona e la spilla di Costanza, ipotizzando una collaborazione fra un incisore tedesco ed un orafo siciliano (cfr. H. J. Heuser, Oberrheinische Goldschmiedekunst im..., 1974, pp. 17-22). A dimostrazione del grande scambio che vi fu fra orefici palermitani e tedeschi. La meravigliosa corona (fig. 12), capolavoro dell’oreficeria dell’epoca normanna, è composta da una calotta emisferica; una fascia larga circonda l’intera calotta e su di essa si innestano, proprio a formare una croce, due galloni, che creano così, quattro spicchi triangolari. Sia la fascia circolare che quelle incrociate sono arricchite da lamine d’oro quadrilobate e da smalti ad alveolo trapezoidali, il tutto fittamente delimitato da perle grezze, di formato più grosso e poste negli intervalli fra una lamina quadriloba e un’altra. Su ognuna di esse, poste in castoni, una gemma. Perle ed altre gemme, (granati, rubini, zaffiri, topazi), graduate nei loro colori, che accolgono la luce in continua vibrazione, scandiscono, la fitta maglia d’oro fulvo granato "raggiante come il fulgore del sole" (cfr. M. Accascina, La corona in …, in Oreficeria di Sicilia…, 1974, pp. 78-79), in spicchi triangolari. Proprio sopra l’intersezione delle due fasce, su una lamina d’oro polilobata, è incastonata, su di un cestello, un’ametista ovoidale circondata da otto perle grezze. Al di sotto della fascia circolare corre un’altra fascia in gallone d’oro sul quale vengono applicate nove lamine, anch’esse in oro fulvo a forma di palmette stilizzate, sulle quali sono incastonati dei turchesi. A conclusione della cuffia, troviamo, le due infule o pendilia di oro giallo, di forma triangolare, composte ognuna da un traliccio concatenato con tre barrette di lunghezza crescente e con sei piastrine romboidali, il tutto preziosamente decorato da smalti ad alveolo (cloisonnèe) e granati. Dall’ultima barretta (quella più lunga) pendono una sferetta ed una goccia. Fra le gemme che tempestano la corona due granati si distinguono in modo particolare: l’uno almandino (posto di fronte) con un’iscrizione in caratteri neskhi : "In Dio Isà ibn Gibair s’affida"( trad. di M. Amari, Le epigrafi arabiche…, vol. II, fasc. I, 1885, n. II, pp. 15-16), incisa a rovescio, e quindi un sigillo; l’altro, invece, a forma di cammeo, reca inciso un grifone (probabilmente una gemma ellenistica). Entrambe sono evidentemente di riutilizzo e forse non sono le sole.
Bibliografia: Repertorium actorium omnium, 1549; T. Fazello, 1558; R. Pirri, 1630-1647; A. Inveges, ms. sec. XVIII, BCP Qq H 137, ff. 42v-43; F. Daniele, 1784; R. Gregorio, ms. sec. XVIII, Palermo, Biblioteca Comunale Qq F 63; G. Palermo, 1816, ed. cons. 1858; G. Di Marzo, 1858-1864; F. Bock, 1864; Amari, 1885; Ch. De Linas, 1887; A. Venturi, 1902-1904, II; E. Bertaux 1903; C. Waern, 1910; I. Toesca, 1927; L. Biagi, 1928; H. Zaloscher 1928; M. Accascina, 1929; M. Accascina, 1930; A. Lipinsky, 1936; J. Deèr, 1952; A. Lipinsky, 1952-53; D. Talbot Rice, 1953; R. H. Randall, 1955; A. Grabar, 1956; P. E. Schramm; J. Deèr, 1957; A. Lipinsky, 1957; J. Deèr, 1959; K. Wessel,1960; P. E. Schramm, Mütherich, 1962; A. Lipinsky, 1970; M. M. Gauthier, 1972; A. Lipinsky, 1973; M. Accascina, 1974; J. Deèr, 1974; H. J. Heuser , 1974; A. Lipinsky, 1975; G. La Grua , 1975; E. Piltz, 1977; U. Scerrato, 1979 ; R. Farioli Campanati, 1982; C. Guastella, 1993; R. Varoli Piazza, 1993; F. Pomarici, 1994; C. Guastella, 1995; Di Natale, 2001. |